Se nel mondo della medicina le proprietà antinfiammatorie e antidolorifiche della cannabis sono già da tempo utilizzate per il trattamento di sintomi e condizioni debilitanti, il mondo dello sport sembra essere rimasto un passo indietro. I sempre più frequenti cambi di rotta delle più importanti leghe sportive statunitensi, però, potrebbero contribuire a mutare la situazione internazionale e i prodotti derivati dalla cannabis potrebbero quindi essere presto presi in considerazione per trattare anche gli infortuni sportivi sostituendo così i tradizionali antidolorifici.
Ecco cosa sta succedendo e perché la pianta e i suoi derivati potrebbero essere un’alternativa più che valida.
Gran parte dei territori a stelle e strisce convive ormai da tempo con la legalizzazione della cannabis per scopi terapeutici; unica eccezione la coppia Idaho e Nebraska, dove il consumo di ogni tipo è ancora illegale. Nonostante questo, però, sembra che l’utilizzo della cannabis e dei suoi derivati non riesca a superare le barriere imposte dalle più alte cariche del mondo dello sport, dove l’utilizzo è spesso trattato al pari del consumo delle droghe pesanti.
La situazione ha iniziato lentamente a mutare nel 2019, quando la Major League di Baseball (MLB) decise di rimuovere la cannabis dall’elenco delle sostanze vietate dalla lega sportiva. L’esempio è stato seguito prima dalla National Basketball Association (NBA), che ha interrotto i test casuali per rilevare il consumo di cannabis tra i giocatori, e poi, nel febbraio 2021, dalla NFL (National Football League), la principale lega professionistica statunitense di football americano, che ha iniziato a ipotizzare l’utilizzo della pianta e dei suoi derivati in sostituzione agli oppioidi per trattare traumi e infortuni, cambiando, parallelamente, anche la sua politica sui test antidroga fatti agli atleti.
Tra i motori di questa decisione non solo il desiderio di maggior tolleranza nel mondo dello sport e un allineamento con le normative in vigore, ma anche la necessità a livello nazionale di combattere l’abuso dei farmaci oppioidi, che negli Stati Uniti rappresenta un vero e proprio problema sociale che nel 2019 ha portato a circa 50.000 decessi per overdose.
A contribuire ai cambi di rotta anche la letteratura scientifica e i comprovati benefici terapeutici della cannabis, già largamente sfruttati in medicina e che potrebbero realmente rendere la pianta una più che valida alternativa ai comuni farmaci da banco per quattro semplici motivi.
Come anticipato, negli Stati Uniti l’abuso di farmaci oppioidi è diventato un problema sociale, perché il loro consumo, spesso in seguito a una legale prescrizione medica, crea dipendenza; è il caso di Vicodin e Oxycontin, per esempio. Anche se l’utilizzo di cannabis non è totalmente immune dalla dipendenza, in questo caso le probabilità si abbassano drasticamente: secondo gli studi, infatti, meno del 10% dei consumatori ne è soggetto. Il consumo di cannabis, inoltre, non ha conseguenze fatali.
Nel caso specifico delle infiammazioni, il CBD è la soluzione più adatta, perché oltre che ad alleviare nell’immediato il fastidio fisico causato dall’infortunio, aiuta anche, come nel caso dell’artrite, a trattare il dolore cronico che accompagna l’atleta fuori dal campo.
Pur offrendo sollievo immediato dal dolore, i farmaci oppioidi possono rivelarsi una minaccia per la salute. Questi, infatti, portano spesso con sé una lunga serie di effetti collaterali a lungo termine che spaziano dall’insufficienza renale al sanguinamento dello stomaco passando per l’insufficienza epatica. Al pari dei benefici, quindi, la cannabis si rivela molto più sicura sul lungo periodo.
I tradizionali farmaci antidolorifici possono richiedere quantità variabili di tempo per avere effetto, tempi che dipendono dalla frequenza di utilizzo, per esempio, ma anche dalla tipologia di farmaco; l’ibuprofene, per esempio, può impiegare fino a mezz’ora per portare reale sollievo. La cannabis, così come i prodotti derivati a base di CBD, invece, agiscono più velocemente: all’istante, se assunti attraverso inalazione, o entro i 15 minuti in caso di applicazione di prodotti topici. Un aspetto, questo, fondamentale nel mondo dello sport, dove l’immediatezza dell’intervento è importantissima.
Martina Sgorlon