Il Tar del Lazio ha sospeso il decreto del ministero della Salute che aveva inserito il CBD nella tabella dei medicinali stupefacenti.
E’ successo in seguito al ricorso presentato dall’associazione ICI (Imprenditori Canapa Italia) che, assistita dagli avvocati di Prestige Legal & Advisory, il 3 ottobre ha fatto ricorso contro il decreto chiedendone l’annullamento.
“Con il ricorso proposto è stato richiesto al Tribunale amministrativo regionale del Lazio l’annullamento del Decreto Ministeriale del 7 agosto 2023 emanato dal Ministero della Sanità”, spiega infatti l’associazione in un comunicato stampa. “È stata altresì proposta, in via incidentale, domanda cautelare presidenziale volta ad ottenere l’immediata sospensione del sopra richiamato DM del 7.8.23: successivamente all’entrata in vigore di tale provvedimento si sono difatti registrate ispezioni e accertamenti in danno degli operatori economici in esito alle quali è stata contestata la violazione dell’art. 73 del DPR 304/1990 (in materia di sostanze stupefacenti o psicotrope) ed è stato altresì disposto il sequestro della merce (composti ad uso orale a base di CBD) presente presso gli esercizi.”
Decreto sospeso: i possibili scenari
Il decreto resterà dunque sospeso fino al prossimo 24 ottobre, giorno un cui è prevista la camera di consiglio presso il tribunale. Lì si deciderà cosa accadrà: la sospensioine cautelare infatti è avvenuta perché, in seguito all'entrata in vigore del decreto, i sequestri che sono avvenuti hanno riguardato anche prodotti che non avevano nulla a che fare con le preparazioni orali di CBD, come infiorescnze di cannabis light e prodotti cosmetici. Il 24 ottobre ci sarà la decisione vera e propria, che potrà riguardare l'annullamento, la sospensione o il mantenmento in essere del decreto.
Priorità ai pazienti
La nostra speranza è che questo provvedimento possa riaprire la discussione a livello politico che vada in una direzione: quella della tutela della salute dei pazienti.
Come è evidente dai risultati del sondaggio che avevamo commissionato ad SWG, infatti, secondo 9 intervistati su 10 la difficoltà di reperimento dei prodotti avrebbe comportato un peggioramento della qualità della vita e delle condizioni di salute. Un'indicazione della quale bisognerebbe tenere conto, alla luce del fatto che per il 40% dei soggetti intervistati i prodotti utilizzati rappresentano una parte della propria terapia e in oltre la metà dei casi sono stati prescritti o consigliati dal proprio medico curante.