Cannabis alla Scuola di medicina regionale: la Sicilia è la prima in Italia

Cannabis alla Scuola di medicina regionale: la Sicilia è la prima in Italia

La Sicilia è la prima regione italiana a vedere tra i propri corsi di studi di medicina anche un modulo dedicato alla Cannabis medica, ora presente all’interno del corso di Medicina generale promosso dal CEFPAS, il Centro per la Formazione Permanente e l'Aggiornamento del Personale del Servizio Sanitario.

Tra i docenti del corso, che ha coinvolto quasi duecento medici del secondo anno della Scuola di Medicina Generale, c’è il Dottor Carlo Privitera (nella foto ritratto da Maria Novella De Luca), specialista in Chirurgia Generale e d’Urgenza, che ha tenuto un seminario dedicato ai “Farmaci oppioidi e Cannabis nella terapia del dolore”. Per saperne di più l’abbiamo intervistato.

La sua lezione alla scuola di Medicina Generale è stata la prima in Italia, all’interno di un percorso di studi, dedicata all’utilizzo clinico della Cannabis e dei cannabinoidi nella terapia del dolore. Perché questa novità è così importante per la formazione dei medici?
Per quattro ragioni. Perché alla luce della conoscenze attuali, sappiamo che in Italia circa 23 milioni di Persone avrebbero necessità di una cura a base di fitocannabinoidi; perché la domanda di terapie complementari sta aumentando vertiginosamente; perché la cannabis medica è un farmaco sicuro (prima di tutto) e, di conseguenza, efficace (è solo una questione di personalizzazione della terapia); e perché il Diritto alla Salute inizia proprio dalla Medicina di Base, che il nostro Stato ha meravigliosamente previsto già 50 anni fa.

Vorremmo soffermarci brevemente sui partecipanti. Chi sono e a che punto sono della loro professione o formazione professionale?
Sono tutti Assistenti in formazione già laureati in Medicina e Chirurgia, che, teoricamente, rappresentano il ricambio generazionale dell'attuale coorte di Medici di Medicina Generale (se non si disperderanno nelle guardie mediche territoriali per poi perdere tutta la passione per la Medicina e il servizio al Paziente).

Che cosa porterà con sé dopo questa esperienza?
L’entusiasmo dei giovani Medici. Le lezioni sono state condotte in DAD, ma Le assicuro che riuscivo ad avvertire l’attenzione e la curiosità dei “ragazzi”. E per me è stata una carica inimmaginabile. Il corso promosso dal CEFPAS è stato il risultato di un’azione sinergica e continua che abbiamo condotto insieme al Comitato Pazienti Cannabis Medica a livello assessoriale e della Scuola di Formazione.
A tal proposito, mi preme puntualizzare l’enorme professionalità gestionale e tecnica messa in campo dal CEFPAS, oltre all’interesse manifestato dai vertici dell’Ente per ciò che riguarda la formazione in Medicina Complementare.

Perché, secondo lei, nel nostro Paese la formazione sulla Cannabis terapeutica non è già parte integrante dei corsi di studi?
Per ignoranza. Da solo, questo elemento, può spiegare tutta la serie di eventi a cui assistiamo ormai da 7 anni: Uffici ministeriali che non hanno la minima cognizione di ciò di cui si parla, ma che continuano a mantenere vecchie dinamiche di gestione dell'offerta del farmaco (dall'inspiegabile accanimento sul ruolo dell'ICFM di Firenze che dopo 7 anni continua a produrre a un costo spropositato una quantità minima di infiorescenze, al blocco delle comunicazioni via PEC tra Medici e Farmacisti proprio durante il periodo pandemico); l'ignoranza deontologica di Medici e Farmacisti, non più in grado di mantenere il proprio patto morale e terapeutico nei confronti dei Malati, sottostando ad atti di bullismo che vengono perpetrati, a salire, dalle Aziende Sanitarie Territoriali, fino all'UCS; il più totale silenzio degli ordini professionali, anche loro più impegnati nella caccia alle streghe nei confronti di Medici o Farmacisti non puntualmente vaccinati e in barba a qualsivoglia Diritto costituzionale di scelta e garanzia di cura da parte dei Malati, al quale per loro stesso Statuto dovrebbero mirare quale fine ultimo della propria attività. Non mi voglio addentrare in sterili polemiche, ma senza la coscienza deontologica di ciascuno (dal Medico all'impiegato pubblico) è impensabile ragionare sulla formazione. Siamo ancora troppo lontani: dobbiamo prima pensare a organizzare delle semplici lezioni di educazione civica.

Come si potrebbero cambiare le cose? Da chi dovrebbe partire l’iniziativa? E quali sono o quali potrebbero essere le criticità o le problematiche?
Non c'è alcuna iniziativa da prendere. Basta semplicemente che ognuno compia il proprio dovere nei confronti del Malato al fine di alleviare le sue sofferenze. Nei codici deontologici è espressamente riportato il fatto che l'azione sanitaria sia sempre da considerare ben al di sopra di una circolare firmata il venerdì mattina da un impiegato frustrato del Ministero della Salute. E ancora, anche nel codice etico del funzionario della PA è riportato chiaramente il ruolo di servizio nei confronti delle persone più deboli, e non è fatta alcuna menzione né di atti di sadismo, né di boicottaggio di ciò che la nostra meravigliosa Costituzione sancisce in termini di diritto alla cura e di uguaglianza tra i Cittadini.Pertanto? L'unica cosa che manca è una coscienza civica in ognuno di noi.

Come e quanto potrebbe cambiare la situazione in Italia se, sul tema cannabis, si mettesse al primo posto la formazione dei medici? Quali potrebbero essere, secondo lei, gli sviluppi più significativi per i pazienti?
Il potenziale mercato della Cannabis supererebbe di gran lunga quello degli altri farmaci di maggior consumo (cardiovascolari, gastroprotettori, antidolorifici, ansiolitici e ipnoinducenti “minori”). Se i Medici conoscessero davvero il farmaco cannabis (e il proprio codice deontologico), si renderebbero conto che le stesse indicazioni di utilizzo “in seconda linea”, ovvero solo dopo che altre terapie hanno fallito, è di per sé un controsenso metodologico, dal momento che La Regola della buona pratica clinica prevede la gradualità dell’approccio, iniziando da farmaci più sicuri e maneggevoli (al di là dell’efficacia), per poi passare, eventualmente (e raramente!) a un trattamento farmacologico standard.
Gli sviluppi per i Pazienti sono di difficile immaginazione, dal momento che se lo Stato, realmente, incoraggiasse (piuttosto che continuare a giocare allo spaventapasseri) i progetti imprenditoriali sulla cannabis medica, potremmo trovarci dinanzi al “rischio” di avere un Sistema Sanitario Nazionale che possa iniziare a ridistribuire i capitali (pubblici) risparmiati e parte del gettito fiscale derivante da nuove imprese ad alta redditività sul territorio, per adeguare il resto dell’offerta (sia strutturale che umana) all’epoca in cui viviamo e al Paese che si autodichiara evoluto.

Lei è il fondatore del Progetto MediCOmm, nato con l’obiettivo di realizzare un Nuovo Sistema Sanitario. In che cosa consiste?
Consiste nell’applicazione pratica del “paradosso dello stolto”, quello per cui, se sei stolto, è inutile che te lo dica io… Cerco di essere meno criptico: nel 2015 lasciai la Chirurgia Generale ospedaliera per il fatto che non riuscivo più a sopportare il divario che, a causa di una cattiva gestione amministrativa della Sanità pubblica, si era venuto a creare tra la mia volontà di fare il Medico e la triste realtà di un Sistema Sanitario in balia della corruzione (morale, innanzitutto, quindi materiale). Allo stato attuale delle cose, reputo assai più grave l’atteggiamento dell’Amministratore incompetente e disonesto (che tutti sanno perché sta in quel posto), rispetto a quello della vecchia mafia stragista. Mi scuso per la frase appena detta, ma, a mio avviso, amministrare male (specialmente in ambito sanitario) comporta sofferenze e morte di molte più Persone di un attentato in centro a Palermo, e rappresenta un atto di barbarie che, agli occhi dei Pazienti, è pure avallato dallo Stato, colpevole di ignavia e di omertà nei confronti della Costituzione. Progetto MediCOmm nasce con l’obiettivo di realizzare un Sistema Sanitario privato, ma economicamente sostenibile.

Dal Progetto MediCOmm è nato anche CAMIT, il sistema di teleassistenza sanitaria per la gestione del paziente cronico con terapie complementari naturali. Ce ne può parlare nel dettaglio?
Abbiamo lanciato il brand Camit nel 2020 per aiutare i Pazienti a trovare un servizio specialistico inerente la cannabis medica (nel 2016 l’UCS dispensava sanzioni a farmacisti incolpevoli, solo perché comunicavano di avere scorte di cannabis medica, da qui la scelta di un nome “anonimo”).
Camit nasce dopo la razionalizzazione della metodologia di approccio al Paziente che, insieme ai Colleghi, abbiamo raggiunto dopo 4000 casi trattati. Operiamo secondo dei paradigmi di intervento che consentono al Paziente di avere sia il miglior risultato clinico, sia, soprattutto, un servizio capillare che, grazie all’approccio in teleassistenza, riesce a raggiungere tutte quelle Persone che esprimono la volontà di aderire a questa terapia complementare.
In questi anni, abbiamo trattato più di 6mila Pazienti, e questo ci ha permesso di acquisire un’elevata mole di informazioni cliniche. Abbiamo stilato degli algoritmi gestionali che consentono a tutto il team di medici di poter interagire e collaborare per i casi più complessi. Abbiamo avuto modo di osservare come la terapia a base di fitocannabinoidi sia caratterizzata da un’estrema variabilità di effetto, sia inter-individuale, sia nello stesso Paziente, in relazione agli stimoli (stress) al quale è sottoposto. Abbiamo ogni giorno la fortuna di poter vivere l’ignoranza clinica del Medico dinanzi a casi clinici complessi; da questo nasce e si mantiene la pulsione verso un comportamento scientifico e deontologico che ci ha permesso di corredare l’empatia con la compassione: un binomio inscindibile per poter cercare di capire le reali esigenze del Paziente.

Il Progetto MediCOmm è nato nel 2016. Come sono cambiate le cose da allora? Se sono cambiate.
Non è cambiato nulla, così che tutto possa essere considerato nuovo. Mi scuso per aver storpiato la celeberrima frase de Il Gattopardo.
Non è cambiato nulla negli atteggiamenti di una parte dello Stato (quello degli uffici amministrativi del Ministero della Salute), nulla nella norma che potesse impedire ad un Medico o ad un Farmacista di espletare quanto da loro giurato dal punto di vista morale e deontologico. Quello che è cambiato è la consapevolezza dei Pazienti (paradossalmente in primis!) e di alcuni Medici e Farmacisti, che ogni tanto alternano la lettura del Topolino con quella di qualche articolo scientifico o il ripasso del codice deontologico durante l’espletamento di atti fisiologici.
Spero che queste parole possano stimolare la curiosità in qualche Collega o Farmacista ad andare a riprendere il proprio codice deontologico e iniziare a rispondere a tono alle chiamate minatorie di caporaletti trincerati dentro le Aziende Sanitarie, negli assessorati regionali o negli uffici ministeriali, ricordando loro che il nostro impegno non è finalizzato a rispettare “leggi” anacronistiche e senza alcun significato, quanto piuttosto a preservare il Diritto di cura delle Persone. Ecco, oggi abbiamo la consapevolezza che nessun Organo dello Stato può sindacare sull’atto sanitario, proprio perché questo è finalizzato ad un bene considerato superiore a qualsiasi altro: la vita umana e la sua dignità.

Tornando in Sicilia, il Dipartimento dell’agricoltura della Regione vuole avviare un progetto innovativo per la produzione e la fornitura di Cannabis terapeutica; noi ne abbiamo parlato in un articolo dedicato. Qual è la sua opinione in merito? Vede delle criticità e/o dei punti di forza in questo progetto?
Vedo vedo…le elezioni regionali a novembre. Ritengo che la risposta sia esaustiva.

Martina Sgorlon

 

31 maggio 2022
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