Cannabis per combattere la demenza: gli ultimi studi scientifici

Cannabis per combattere la demenza: gli ultimi studi scientifici

La cannabis, con i giusti principi attivi, potrebbe essere la chiave per combattere il declino cognitivo in diverse patologie e i sintomi che queste comportano. Con il termine demenza in genere si intende il declino delle facoltà mentali sufficientemente grave da interferire con la vita quotidiana, una caratteristica che ritroviamo in diverse patologie, come l'Alzheimer, per la quale diverse ricerche indicano nella cannabis un potenziale aiuto.

Cannabis, declino cognitivo e demenza, le ultime ricerche

Le ultime due ricerche interessanti riguardano i sintomi di demenza e declino cognitivo.

In uno studio scientifico pubblicato a settembre su Frontiers of Aging Neuroscience i ricercatori del Dipartimento di Riabilitazione e Geriatria degli Ospedali Universitari di Ginevra, in Svizzera, hanno messo a punto uno studio prospettico osservazionale su 19 pazienti con demenza grave in cui la cannabis è stata ben tollerata e ha migliorato i sintomi.

L'età media era di 81 anni e sono stati somministrati in media 12,4 mg di THC e 24,8 mg di CBD al giorno per un massimo di 13 mesi, senza che siano stati segnalati problemi legati al trattamento e con reazioni avverse limitate. I punteggi clinici hanno mostrato un netto miglioramento stabile nel tempo, la riduzione di altri farmaci e la facilitazione delle cure.

Nelle conclusioni sottolineano infatti che: "Un farmaco a lungo termine a base di THC/CBD (1:2) può essere somministrato in modo sicuro e con miglioramenti clinici complessivamente positivi ad adulti anziani politrattati con demenza grave e problemi associati. I risultati devono essere confermati in uno studio randomizzato".

Sempre a settembre ma su Frontier in Medicine, sono stati pubblicati i risultati di uno studio controllato con placebo condotto in Israele su 52 pazienti di almeno 60 anni, con diagnosi di disturbo neurocognitivo maggiore e disturbi comportamentali associati, in cui un olio di cannabis ricco di CBD ha migliorato i sintomi. I pazienti hanno ricevuto "Avidekel", un olio di cannabis ad ampio spettro (30% di cannabidiolo e 1% di tetraidrocannabinolo) o un olio placebo tre volte al giorno per 16 settimane.

Dei 60 pazienti randomizzati, con un'età media di 79 anni, 52 hanno completato lo studio. C'è stata una differenza statisticamente significativa nella proporzione di soggetti che hanno avuto una riduzione del punteggio del Cohen-Mansfield Agitation Inventory di almeno 4 punti alla 16a settimana e una differenza statisticamente significativa nella proporzione di soggetti che hanno avuto una riduzione del punteggio del Cohen-Mansfield Agitation Inventory di almeno 8 punti alla 16a settimana. C'è stato un miglioramento significativamente maggiore nel gruppo cannabis rispetto al gruppo di controllo alle settimane 14 e 16.

i ricercatori concludono spiegando che: "In questo studio randomizzato e controllato, l'olio "Avidekel" ha ridotto significativamente l'agitazione rispetto al placebo in pazienti affetti da disturbi comportamentali legati alla demenza, con effetti collaterali non gravi. Sono necessarie ulteriori ricerche con un campione più ampio".

Cannabis e demenza, la revisione sistematica degli studi

In una revisione sistematica dei precedenti lavori pubblicata nel 2019 gli autori concludono che: "Nel complesso, le limitate evidenze degli studi inclusi in questa relazione suggeriscono che la cannabis medica può essere efficace per il trattamento dei sintomi neuropsichiatrici associati alla demenza (cioè agitazione, disinibizione, irritabilità, comportamento motorio aberrante, disturbi del comportamento notturno, vocalizzazione aberrante e attenzione al riposo). È stata inoltre riscontrata una limitata evidenza di miglioramento della rigidità e dei punteggi cognitivi valutati con il MMSE".

Cannabis per combattere l'Alzheimer e il declino cognitivo

Il potenziale della cannabis potrebbe andare ben oltre, ma per ora la ricerca scientifica attuale e solo agli inizi di questo percorso che tocca tematiche come il declino cognitivo negli anziani e la possibilità che la cannabis e i suoi derivati possano contrastare l'insorgenza di patologie neurodegenerative come l'Alzheimer.

Per quanto riguarda il declino cognitivo la scoperta è arrivata nel 2017 dai ricercatori dell’Università di Bonn e della Hebrew University di Gerusalemme che hanno somministrato piccole dosi di THC su topi di diverse età: 2 mesi, quando sono ancora giovani, 12 mesi, quando iniziano a manifestare segni di declino cognitivo e 18 mesi, quando sono ormai anziani.

I ricercatori hanno poi testato le capacità mnemoniche e di apprendimento dei roditori, confrontando i loro risultati con quelli di topi che avevano ricevuto un placebo ed i risultati sono stati pubblicati su Nature Medicine in uno studio intitolato “A chronic low dose of Δ9-tetrahydrocannabinol (THC) restores cognitive function in old mice”. Sia a 12 che 18 mesi di età i topi che avevano ricevuto il THC hanno mostrato funzioni cognitive paragonabili a quelle dei giovani di soli due mesi. Mentre nel gruppo di controllo, gli animali a cui è stato somministrato il placebo, il declino cognitivo si è iniziato a manifestare come previsto intorno ai 12 mesi di età. Nei topi giovani, invece, la somministrazione di THC compromette le prestazioni di apprendimento e memoria.

Per quanto riguarda l'Alzheimer, invece, un studio in vitro del 2016 ha dimostrato che i componenti della cannabis aiutano ad eliminare la proteina tossica beta amiloide, il cui accumulo è tra le cause primarie di questa forma di demenza. I risultati preliminari sono stati pubblicati sulla rivista Aging and Mechanisms of the Disease, partner della celebre rivista scientifica Nature, dai ricercatori del Salk Institute in California.

Anche se già altri studi avevano dimostrato che i cannabinoidi possono avere un effetto neuroprotettivo contro i sintomi dell’Alzheimer, aggiunge David Schubert, coordinatore dello studio, “il nostro è il primo a dimostrare che hanno effetto sia sull’infiammazione che sull’accumulo di beta amiloide nei neuroni”.

Mario Catania

26 ottobre 2022
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