L’accusa, gravissima, è quella di aver messo in piedi un vero e proprio sistema di corruzione nel settore della terapia del dolore. Lo sostiene la Procura di Parma che in questa operazione ha indagato 75 persone arrestandone 19 ed effettuando 50 perquisizioni.
Secondo l'inchiesta i manager di alcune farmaceutiche pagavano per avere i risultati di sperimentazioni farmaceutiche o di dispositivi biomedicali portate avanti senza il consenso dei pazienti e potevano organizzare inoltre corsi di aggiornamento medico direttamente (i corsi ECM), nonostante la legge lo vieti.
Come raccontato da Il Fatto Quotidiano, secondo i Carabinieri il "perno" di questo sistema era Guido Fanelli, primario di anestesia e rianimazione a Parma e luminare proprio nel settore della terapia del dolore ai domiciliari per associazione a delinquere finalizzata alla corruzione, peculato, truffa aggravata. Per mascherare i giri di denaro sarebbero state create ad hoc due società, una delle quali era proprietaria di uno yacht la cui manutenzione era di fatto a carico di una delle ditte coinvolte, e il cui fruitore sarebbe stato proprio Fanelli.
Tutto nasce dal fatto che l'Osmed, osservatorio sull’impiego dei medicinali (Aifa) aveva certificato che nei primi nove mesi del 2014 l’uso degli antidolorifici oppiacei era cresciuto tra il 9 e il 13% rispetto all’anno prima con relativa spesa per il servizio sanitario nazionale e dalla introduzione della sua legge si era registrato una crescita esponenziale di alcuni farmaci. “Un trend iniziato proprio dopo l’approvazione della legge sulle cure palliative e sulla terapia”, scrive il gip di Parma Maria Cristina Sarli, ideata proprio da Guido Fanelli.
Grazie a questa legge l’uso di questi farmaci, in particolare quelli a base di oppio usati da pazienti con dolori cronici, “è passato da 1,1 dosi giornalieri per mille abitanti del 2005 alle 5,2 dosi del 2013”. Per questo l’Aifa aveva invitato, già a inizio del 2015, i medici a fare prescrizioni responsabili. Fanelli non perde tempo e inizia una guerra sotterranea con l’Aifa con “convegni, influenza la platea dei medici prescrittori, sottostimando il problema”. La prima cosa che fa è avvertire i principali manager delle case farmaceutiche tra cui la Mundipharma. La strategia pensata è quella di fare addirittura “eventi dedicati all’appropriatezza dell’uso degli oppiodi dove al comunichiamo al mondo intero via Expo”.
Ad aggravare ulteriormente la situazione non si può dimenticare che Fanelli era tra i due coordinatori di un progetto nazionale dedicato alla cannabis terapeutica, al centro della ricerca scientifica internazionale perché tra i molti benefici medici che può apportare c'è anche quello del trattamento del dolore. Il network PINHUB, di cui Fanelli è direttore scientifico, assieme al ministero della Salute, aveva costituito un tavolo di lavoro al fine di raccogliere le esperienze ed i contributi su tutto il territorio nazionale e successivamente di elaborare delle “raccomandazioni” per l’utilizzo della cannabis a scopo terapeutico per i pazienti con dolore.
Insomma, mentre in America, Paese in cui il problema dei farmaci oppioidi assume contorni sempre peggiori e medici e studi scientifici iniziano a consigliare la cannabis terapeutica in sostituzione agli oppiodi nella terapia del dolore, da noi un progetto nazionale sulla cannabis era coordinato proprio da un medico con un enorme conflitto di interessi, che l'aveva portato a creare una pubblicazione di un position paper - ovvero un documento ufficiale da far firmare anche ad altri colleghi - per minimizzare i problemi dell’abuso di oppiodi da presentare ad un convegno Onu a Vienna. Da Vienna però, in linea con quello che sostiene la comunità scientifica, rispondono che gli oppiodi “non sono una buona opzione per la gestione del dolore cronico”.
Dovrebbero probabilmente comunicarlo anche alla ministra Beatrice Lorenzin, visto che nel decreto emanato dal ministero della Salute a fine 2015, si legge che gli oppiodi sono da preferire alla cannabis nel trattamento dell’analgesia nel dolore cronico. Citando il decreto, la cannabis è prescrivibile per “l’analgesia nel dolore cronico (con particolare riferimento al dolore neurogeno) in cui il trattamento con antinfiammatori non steroidei o con farmaci cortisonici o oppioidi si sia rivelato inefficace”. È una delle tante storture del decreto approvato a fine 2015, ma certamente una delle più significative.