THC: che cos'è, quali le proprietà terapeutiche e gli effetti sull'organismo

THC: che cos'è, quali le proprietà terapeutiche e gli effetti sull'organismo

THC, cos'è e che effetti ha

Il THC è una delle principali componenti della cannabis, ma di che cosa si tratta nello specifico e quali effetti ha sull’organismo? Ecco tutto quello che devi sapere e gli usi terpapeutici del cannabinoide.

Che cos’è il THC

Il tetraidrocannabinolo, anche noto come delta-9-tetraidrocannabinolo o, più comunemente,THC, è uno degli oltre 600 composti attivi presenti nella cannabis. Soprattutto, è uno dei primi cannabinoidi in termini di quantità e concentrazione e il principale responsabile degli effetti psicoattivi della pianta e dei suoi derivati che lo contengono.

Prodotto nelle infiorescenze di cannabis, il THC fu isolato e studiato per la prima volta nel 1964 da Raphael Mechoulam, Yechiel Gaoni e Habib Edery dall'istituto Weizmann, in Israele.

L’interazione con il sistema endocannabinoide e gli effetti sull’organismo

Così come gli altri cannabinoidi, il THC interagisce con il sistema endocannabinoide: un sistema complesso presente nel corpo umano e che ha come obiettivo il corretto funzionamento dell’intero organismo e il raggiungimento e il mantenimento dell’equilibrio interno, noto come omeostasi.

In particolare, il THC si lega ai recettori cannabinoidi CB1 e CB2, presenti principalmente nel sistema nervoso centrale e in quello immunitario. È da questa interazione che nascono gli effetti del cannabinoide sull’organismo, come l’effetto ansiolitico, quello antinfiammatorio, la sensazione di euforia e di rilassamento e, a seconda delle quantità assunte, anche di stimolazione dell’appetito, di alterazione della percezione spazio-temporale, della percezione del dolore e delle sensazioni uditive, olfattive e visive.

THC per uso terapeutico: tutti i benefici e gli studi

Dalla stessa interazione derivano anche i benefici e gli effetti terapeutici del THC, che hanno portato al suo utilizzo in diversi rami della medicina, da quella generale a quella oncologica. Ecco alcuni esempi e gli studi in merito.

Il THC contro il dolore

Il THC, spesso usato in combinazione con il CBD, è la molecola della cannabis con effetti antidolorifici. Cannabis con THC viene ad oggi utilizzata per il trattamento del dolore cronico e neuropatico, spesso associato a patologie gravi come il cancro, ma anche ad esempio per il mal di schiena. La mole di studi scientifici che indagano cannabis e dolore è davvero vasta, così come la recente letteratura scientifica che identifica la cannabis come sostanza in grado di sostituire del tutto o in parte gli oppiacei, che causano dipendenza e possono portare alla morte. Con un ulteriore vantaggio: l'uso di cannabis continuato nel tempo, al contrario di quello dei derivati dall'oppio, non porta una percezione alterata del dolore.
Secondo un recente studio pubblicato sul Journal of the American Medical Association (JAMA) Substance Use And Addiction in Usa un paziente su 3, tra quelli affetti da dolore cronico, utilizza la cannabis.
Di recente è stato pubblicato un case study che rende bene l'idea di che cosa la cannabis possa rappresentare per un paziente: una seconda possibilità di vita. Sono bastati 4 mesi di trattamento con la cannabis terapeutica ad una donna di 61 anni affetta da severo dolore neuropatico per farle esclamare che “le è stata data una seconda possibilità di vita” e vedersi descrivere dal marito come “una donna nuova”, oltre a far scrivere ai ricercatori che, dopo 17 anni di trattamenti farmacologici che tenevano sotto controllo il dolore ma causavano diversi effetti collaterali significativi, è pronta ad interromperli.

Il THC contro le malattie neurodegenerative

Grazie all’interazione con il sistema endocannabinoide e con il sistema nervoso, il THC e le terapie a base di cannabis si sono rivelate efficaci nel migliorare le condizioni e la qualità della vita delle persone affette da malattie neurodegenerative come l’Alzheimer e il Parkinson.

L’Alzheimer è una grave forma di demenza caratterizzata, dal punto di vista biochimico, dall’accumulo della proteina Beta amiloide (Aβ) all’interno delle cellule neuronali, delle quali causa la morte. Secondo un recente studio, il THC sarebbe in grado di disgregare gli agglomerati di Beta amiloide eliminandoli e contrastando così la degenerazione della condizione. Ne abbiamo parlato in maniera approfondita nell’articolo dedicato a cannabis e Alzheimer.

Il Morbo di Parkinson, invece, è la seconda tra le malattie neurodegenerative ad andamento progressivo più diffuse nella popolazione anziana e colpisce circa il 10% degli individui sopra gli 80 anni. L’assunzione di THC e CBD, in questo caso, sembra migliorare la rigidità muscolare e i tremori, oltre che l’umore e la qualità del riposo notturno.

Il tetraidrocannabinolo per i pazienti oncologici

Tra le numerose proprietà del THC c’è anche la capacità di ridurre la sensazione di nausea e il vomito, un aspetto molto importante per i pazienti oncologici sottoposti a chemioterapia (anche in casi di tumori infantili), ma questo non è l’unico effetto positivo.

Come raccontato anche nell’intervista alla Dottoressa Chiara Liberati e dedicata interamente all’uso di cannabis per i pazienti oncologici, il THC e gli altri composti della pianta controllano anche il ciclo cellulare e quello circadiano, supportano il sistema immunitario, la neuromodulazione e agendo come analgesici contro il dolore, anche quello neuropatico indotto dalla stessa chemioterapia. Ulteriori studi dimostrano la sua efficacia in casi di cancro alla prostata e di cancro ai polmoni.

Il THC per migliorare la vita di pazienti con condizioni croniche

Il THC corre in soccorso anche di pazienti affetti da condizioni e patologie croniche, come alcune malattie infiammatorie intestinali (morbo di Crohn, colite ulcerosa…), la fibromialgia, l’epilessia, l’artrite reumatoide o la sclerosi multipla.

A confermarlo anche numerosi studi, come quello raccontato nell’articolo dedicato al miglioramento della qualità della vita dei pazienti trattati con cannabis, dal quale è emerso che ben il 70,6% dei pazienti inseriti nella ricerca ha ritenuto il trattamento di 6 mesi un successo e ha notato una riduzione del dolore e un miglioramento generale della propria condizione sotto diversi punti di vista.

21 aprile 2023
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