La cannabis migliora la qualità di vita dei pazienti

La cannabis migliora la qualità di vita dei pazienti

Come può la cannabis influire sulla qualità di vita dei pazienti? È da questa domanda che i ricercatori del Soroka University Medical Center e della Facoltà di Scienze della Salute della Ben-Gurion University of the Negev, in Israele, sono partiti per sviluppare un nuovo studio. Ecco di cosa si tratta.

La cannabis per migliorare la qualità di vita dei pazienti: lo studio

Le proprietà terapeutiche della cannabis sono riconosciute a livello internazionale ed è in continua crescita il numero di Paesi che, nel mondo, si avviano verso la legalizzazione della cannabis a scopo medico. Se, da una parte, i singoli benefici sono noti, dall’azione antinfiammatoria a quella ansiolitica, dall’altra non esistono studi recenti e dedicati esclusivamente al complessivo miglioramento della vita dei pazienti trattati con cannabis terapeutica.

A colmare il gap ci ha pensato un team di ricercatori del Soroka University Medical Center e della Facoltà di Scienze della Salute della Ben-Gurion University of the Negev, in Israele, che per tre anni, da marzo 2015 a febbraio 2018, hanno studiato la sicurezza e l’efficacia di un trattamento a base di cannabis della durata di almeno 6 mesi.

“Nonostante l'assenza di rigorosi studi prospettici, si è registrato un aumento dell'uso di medicinali a base di cannabis. Durante il periodo di studio, l'uso della cannabis medica in Israele è stato strettamente regolato dalla politica nazionale”, hanno spiegato i ricercatori. “Attraverso uno studio prospettico su circa 10mila pazienti trattati con cannabis medica, abbiamo provato a identificare l'aderenza, la sicurezza e l'efficacia del trattamento”.

Modalità di sviluppo e risultati dello studio

Come anticipato, nello studio, intitolato “Adherence, Safety, and Effectiveness of Medical Cannabis and Epidemiological Characteristics of the Patient Population: A Prospective Study” e disponibile su Frontiers in Medicine, sono state coinvolte 10.713 persone in possesso di una prescrizione, rilasciata in particolare per una qualche forma di cancro (49,1%, di cui sintomi correlati alla chemioterapia 23,5% e trattamento correlato al dolore 25,5%) e dolore non specifico (29,3%); tra le altre condizioni e situazioni studiate il Disturbo da stress post traumatico - PTSD (6,4%), l’autismo (3,6%), l’epilessia (2,7%), il Parkinson (2,5%), le patologie infiammatorie croniche intestinali (2,2%), la Sclerosi multipla (0,9%), le cure compassionevoli (0,6%), le sindrome di Tourette (0,6%) e altri (1,9%). L'età media dei pazienti coinvolti, al 51,1% di sesso maschile, era di 54,6 anni; il 30,2% dei pazienti ha riportato precedenti esperienze con la cannabis.

Durante i 3 anni di periodo di studio, i soggetti hanno ricevuto la prima licenza per il trattamento della cannabis, ma il 2,6% è morto prima di iniziare il trattamento, il 4,2% ha scelto di non ricevere la terapia e 9.985 pazienti (93,2%) hanno iniziato il trattamento. Durante il follow-up dello studio, 1.938 pazienti sono morti (19,4%) e 1.735 hanno interrotto il trattamento (17,3%). Gli effetti collaterali comuni, riportati da 1.675 pazienti (34,2%), sono stati in ordine di frequenza: vertigini (8,2%), secchezza delle fauci (6,7%), aumento dell'appetito (4,7%), sonnolenza (4,4%) ed effetti psicoattivi (4,3%).

L’aderenza alla terapia è stata valutata in base alla percentuale di pazienti che hanno acquistato il farmaco sul numero totale di pazienti (esclusi i casi deceduti e i pazienti trasferiti in un'altra clinica per la cannabis). La sicurezza del trattamento è stata invece valutata in base alla frequenza degli effetti collaterali. L'efficacia, infine, è stata definita come un miglioramento almeno moderato delle condizioni del paziente senza interruzione del trattamento o senza gravi effetti collaterali.

“Per l'analisi dell'efficacia del trattamento, abbiamo utilizzato l'approccio di valutazione globale in cui ai pazienti è stato chiesto a 6 mesi: ‘Come valuteresti l'effetto generale della cannabis sulla tua condizione?’. Le sette opzioni di risposta erano: miglioramento significativo, moderato o lieve, nessun cambiamento, deterioramento lieve, moderato o significativo”, hanno spiegato i ricercatori. “Per l'analisi dell'endpoint primario di efficacia abbiamo selezionato un approccio conservativo, quindi il successo del trattamento è stato definito come (a) miglioramento almeno moderato o significativo delle condizioni del paziente e (b) nessuno dei seguenti: cessazione del trattamento o effetti collaterali gravi definiti come 9–10 sulla scala di gravità e incidenza di ‘spesso’ o ‘sempre’”.

Per i risultati finali dello studio, tutti i pazienti che hanno interrotto il trattamento e quelli persi al follow-up (per decesso o abbandono) sono stati classificati come fallimento della terapia.

Alla luce dei dati raccolti, complessivamente, il 70,6% dei pazienti ha ritenuto il trattamento di 6 mesi un successo, con conseguente miglioramento della qualità della vita e netta diminuzione del dolore.

Martina Sgorlon

17 marzo 2022
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