È stato pubblicato in Gazzetta ufficiale un nuovo decreto che inserisce il CBD tra i medicinali stupefacenti
Non c’è stato nemmeno il tempo di attendere la sentenza del Tar sul precedente decreto che inseriva il CBD tra gli stupefacenti, che il governo ha messo punto un nuovo decreto, sempre con lo stesso obiettivo, che è stato pubblicato ieri in Gazzetta ufficiale.
CBD stupefacente: il punto della situazione
Riavvolgendo il nastro era l’ottobre 2020 quando l’allora ministro Speranza pubblicò il decreto, poi sospeso in seguito alle proteste di pazienti e associazioni di categoria. Un decreto che è poi stato ripreso in mano dal governo Meloni, insieme ai tanti altri provvedimenti contro la cannabis - ultimo l’emendamento al disegno di legge sulla sicurezza che vorrebbe impedire la produzione di infiorescenze di canapa - che era però stato sospeso dal Tar in attesa della sentenza di settembre.
Sentenza che, a questo punto, non arriverà perché ne è stato emanato un altro, del tutto simile nel contenuto, che però aggiunge i pareri dell'Istituto Superiore di Sanità e del Consiglio Superiore di Sanità che nel testo di legge vengono solo annunciati senza essere citati.
Fa specie che, proprio nel testo de decreto, venga riportata la raccomandazione dell’Oms del 2020, che invitava tutti i Paesi membri a non inserire in nessuna tabella a livello internazionale i prodotti a base di CBD e con THC fino allo 0,2%. Dal governo si sono però dimenticati di riportare altre due sentenze fondamentali.
La prima è quella della Corte di giustizia europea del 2020, che aveva stabilito che il CBD non può essere considerato stupefacente e che quello prodotto legalmente da uno Stato membro deve poter circolare anche negli altri. La seconda è quella del Tar di inizio 2023, che, sospendendo il decreto con cui la canapa veniva inserita tra le piante officinali, metteva nero su bianco che gli utilizzi della pianta non possono essere limitati per un generico principio precauzionale che va invece motivato con dati scientifici.
Cosa succede ora?
Il decreto, che potrebbe entrare in vigore 30 giorni dopo l’inserimento in gazzetta Ufficiale avvenuto ieri, inserisce come l’altra volta le preparazioni orali con CBD ottenute dalla cannabis, lasciando quindi fuori i prodotti sintetici. Anche i prodotti cosmetici non vengono toccati dal provvedimento, mentre c’è un rischio concreto per le preparazioni alimentari.
Come spiegato dall’avvocato Giacomo Bulleri a Dolce Vita, “rischiamo di andare in contrasto con il mercato comune, perché entro la fine del 2024 o l’inizio del 2025 l’EFSA dovrebbe autorizzare in Europa i cibi contenenti CBD, cosa che a questo punto avverrebbe in tutti i Paesi europei escluso il nostro, visto che noi lo considereremmo come un farmaco stupefacente”.
Le preoccupazioni di pazienti e medici
Nonostante l’eventuale entrata in vigore del decreto non toccherebbe le preparazioni effettuate in farmacia dietro ricetta medica, per i pazienti sarebbe comunque un problema da non sottovalutare, come si evince dal sondaggio di SWG nel quale erano proprio i pazienti a evidenziare il timore di non riuscire più ad accedere a un prodotto ritenuto fondamentale per trattare la propria patologia e migliorare la qualità di vita generale.
Su 1.402 persone intervistate che utilizzano oli, estratti o farmaci a base di CBD, il 40% li usa come parte della terapia, consigliati o prescritti dal medico. I motivi spaziano dalle infiammazioni ai disturbi del sonno, passando per la gestione del dolore, ansia e altri problemi cronici. I principali canali d’acquisto sono le farmacie, l’online - preferito per comodità, prezzo e disponibilità - e canapa shop. Solo il 10% ritiene che non ci saranno effetti se il decreto sul CBD entrasse in vigore, mentre il 90% prevede difficoltà di reperimento e peggioramento della qualità della vita. Il 92% prevede infine un aumento significativo dei costi (Sondaggio integrale SWG → download).
Secondo la dottoressa Chiara Liberati, neurochirugo e direttore sanitario dell’ambulatorio specilizzato Clinn, “se dovessero vietare la vendita di prodotti al CBD sarebbe estremamente preoccupante. Questa misura penalizzerebbe non solo le aziende del settore, ma soprattutto i pazienti che utilizzano questi prodotti per gestire varie condizioni mediche. Inoltre, aumenterebbero i costi e la difficoltà di reperimento dei prodotti, costringendo i pazienti a rivolgersi a canali non ufficiali e meno sicuri. Forse un approccio regolatorio più equilibrato sarebbe preferibile per garantire accessibilità e sicurezza ma ripeto sono temi che non appartengono alla mia sfera professionale occupandomi solo del benessere e della salute del paziente”.