Cannabis terapeutica, dopo dieci anni qualcosa si muove: Il Ministero della Salute avvia la revisione del “decreto Lorenzin”, la legge che regola il settore
Il ministero della Salute è al lavoro per modificare la legge sulla cannabis terapeutica che regola il settore in Italia. Parliamo del decreto del 9 novembre 2015, soprannominato "decreto Lorenzin" dal nome dell'allora ministra della Salute, che, oltre a sancire le norme per l produzione di cannabis nello Stabilimento chimico farmaceutico militare di Firenze, l'unico che abbia mai avuto l'autorizzazione per poterla produrre nel nostro Paese, stabilisce le norme per la dispensazione, fino a indicare le patologie per cui veniva suggerita la prescrizione a carico del sistema sanitario nazionale.
Essendo che la sanità in Italia è regolata a livello regionale, dal 2015 ad oggi le varie Regioni hanno legiferato in autonomia, portando a una discordanza di norme per i pazienti. Una persona che nasce in Puglia, ad esempio, può avere la prescrizione gratuita per tutta una serie di patologie, cosa che ad esempio non accade in Calabria. Ecco perché negli anni la richiesta più pressante era stata proprio quella di rivedere questa norma per unificare la legge. la seconda priorità resta quella, come previsto dallo stesso decreto, di aggiornare la lista di patologie per la quale la cannabis abbia benefici riconociuti.
Ora il ministero è al lavoro, come rivelato dal sottosgretario alla Salute Marcello Gemmato che ha risposto in Commissione affari sociali a un'interrogazione di Marianna Ricciardi del M5S. L’obiettivo è adeguare la normativa alle nuove evidenze scientifiche, agli sviluppi regolatori in alcuni Paesi Ue e all’inserimento di monografie nella Farmacopea europea. Per questo, il Ministero ha attivato un confronto strutturato con Regioni, Province autonome, lo Stabilimento chimico farmaceutico militare e l’Istituto superiore di sanità.
Cannabis terapeutica: le modifiche alla legge
Tra le attività già portate avanti, Gemmato ha ricordato la riunione del 17 aprile 2025 con le Regioni, durante la quale sono stati presentati i dati dell’Istituto Superiore di Sanità (ISS) relativi alle prescrizioni e avviata la consultazione sui fabbisogni nazionali da comunicare all’International Narcotics Control Board per il 2026. Successivamente, il 28 aprile, è stato firmato un accordo con l’ISS per fornire “supporto tecnico-scientifico alle attività dell’Organismo statale della Cannabis”. L’intesa prevede il monitoraggio delle prescrizioni magistrali tramite una piattaforma informatica dedicata, l’ampliamento del sistema di fitovigilanza “Vigierbe”, l’organizzazione di corsi di formazione e la redazione di report periodici.
Inoltre, il 12 giugno il Ministero ha inviato a tutte le Regioni un questionario volto a raccogliere informazioni su regolamentazione, piano terapeutico e criteri di rimborsabilità, mentre il 10 ottobre si è svolto un nuovo incontro con l’ISS per definire i punti principali in vista della revisione del decreto. Infine, come avevamo raccontato dopo il convegno di Firenze di settembre, è stato confermato il potenziamento dello Stabilimento chimico farmaceutico militare di Firenze, con l’obiettivo di assicurare elevati standard qualitativi, processi produttivi standardizzati – inclusa la realizzazione di oleoliti – e la piena copertura della domanda da parte dei pazienti in trattamento con cannabis medica.
"Coinvolgere le associazioni di pazienti"
"Ad oggi mancano criteri uniformi a livello nazionale per la rimborsabilità, fatto che determina un divario nell’accesso alle cure da un territorio all’altro", è la risposta della deputata del M5S. "Ma le criticità sono diverse: pianificazione del fabbisogno, disomogeneità regionali, insufficiente produzione nazionale e conseguente dipendenza dall’estero. Accolgo con favore il fatto che sia in corso un confronto, la modifica della piattaforma e il potenziamento dello Stabilimento Chimico Farmaceutico Militare di Firenze, tutte rassicurazioni arrivate nella risposta del sottosegretario Gemmato al mio quesito. Restano però dei problemi: non risultano ad esempio coinvolte le associazioni dei pazienti e sarebbe bene invece farlo, perché potrebbero dare indicazioni preziose a proposito dell’accessibilità alle cure".














